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Intolleranza ai lieviti: quando a lievitare è la pancia

Pubblicato il 20/02/2018 - Aggiornato il 15/11/2021

Queste informazioni non sostituiscono in alcun modo il colloquio con il tuo medico di fiducia.

Un eccesso di cibi contenenti lievito può danneggiare l'equilibrio del nostro corpo, causando gonfiore e altri disturbi. Come comportarsi?

Dott.ssa Simona Ferrero

Staff Centro Cefalee - Auxologico San Luca

Lieviti: dove si trovano?

Il processo di fermentazione è dovuto a particolari microorganismi (a tutti gli effetti, piccolissimi funghi) detti lieviti: il pane e la maggioranza dei prodotti da forno, ma anche formaggi, vino e molti altri prodotti che consumiamo ogni giorno sono ottenuti grazie al loro aiuto.

Sono moltissimi quindi gli alimenti interessati da un processo di lievitazione o fermentazione, che possono causare disagi a chi è intollerante ai lieviti.

Quali sono i sintomi dell'intolleranza ai lievi?

L’intolleranza ai lieviti si caratterizza spesso per la comparsa di alcuni sintomi come:

  • spossatezza;
  • mal di testa;
  • candidosi;
  • eczemi;
  • gonfiore addominale;
  • diarrea o stipsi;
  • ritenzione idrica;
  • dolori osteoarticolari.

Ma l’intolleranza ai lieviti provoca anche un’alterazione del microbiota, generando un disturbo chiamato disbiosi intestinale, che comporta cattivo assorbimento dei cibi e infiammazione della mucosa intestinale, e può arrivare a intaccare il sistema immunitario.


Lieviti, come li eviti?

La nostra alimentazione è composta da moltissimi alimenti contenenti lieviti o che comunque hanno subito un processo di fermentazione: è possibile che il nostro organismo a un certo punto dica… basta!

Per disintossicarsi dall’eccesso di alimenti a base di lieviti è possibile ricorrere, con l’aiuto di un medico specialista, alla dieta di eliminazione: un periodo di 1 - 2 mesi in cui si sospende l’assunzione degli alimenti incriminati, che andranno poi reintrodotti uno per volta.

Ma quali sono questi alimenti?

A seconda del quadro clinico e dei disturbi, può essere indicata la sospensione o la limitazione nell’assunzione di:

  • tutti quegli alimenti che includono lievito madre, lievito di birra e lievito chimico;
  • formaggi: durante i processi caseari e la stagionatura infatti si sviluppano spontaneamente batteri e muffe che fanno parte della categoria dei lieviti;
  • tofu e margarina, come per i formaggi;
  • birra, vino, superalcolici e bibite zuccherate sono soggette a fermentazione;
  • tè nero e caffè subiscono un processo di fermentazione durante la lavorazione. Via libera invece a tè verde, tisane e karkadè;
  • molte salse come quella di soia, ma anche maionese (industriale) e senape contengono lieviti o comunque hanno subito un processo di fermentazione;
  • yogurt, aceto, verdure in salamoia, conserve, dadi da brodo granulari e non, pomodori in scatola, carne affumicata, miele, kefir, cioccolato, funghi e tartufi sono da evitare;
  • alcuni frutti come uva, susine, fichi, datteri, prugne e albicocche, che fermentano spontaneamente, e la frutta secca in genere.

Quando è possibile notare i primi miglioramenti?

Già a partire dai primi 3 giorni dall’eliminazione degli alimenti contenenti lieviti sarà possibile avvertire un miglioramento generale e un aumento del proprio benessere, inclusa una minore ritenzione idrica.

Trascorso il periodo di “disintossicazione”, sarà possibile reintrodurre gradualmente gli alimenti, uno alla volta e a distanza di almeno 5 giorni l’uno dall’altro, nella nostra alimentazione.

In questo modo sarà possibile verificare se qualche alimento in particolare provochi ancora disturbi e quindi considerare se sia da rimuovere definitivamente dalla nostra dieta.

Trascorso questo periodo però, occorre tornare a un’alimentazione sana, cioè equilibrata e varia.

No al fai-da-te

È importante non affrontare questo percorso, e in generale nessun percorso che implichi modifiche sostanziali alla nostra alimentazione, senza l’aiuto e il consiglio del medico: solo lo specialista infatti può impostare un iter diagnostico e la relativa dieta su misura per ciascun paziente.


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