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SLA: un’altra proteina per lo studio della malattia

Pubblicato il 16/01/2023

Proseguono le ricerche per individuare nuovi elementi biologici, con metodiche non invasive, per comprendere a fondo la SLA e da qui la possibilità di mettere a punto i trattamenti terapeutici.

La proteina GFAP studiata nella ricerca di Auxologico

Ora è la volta, anche se a livello soltanto sperimentale (quindi non ancora disponibile nella comune pratica clinica) della proteina gliale fibrillare acida, in sigla “GFAP”.  La ricerca intitolata “Livelli sierici di proteina acida fibrillare gliale in pazienti con sclerosi laterale amiotrofica”, presentata in un poster al recente congresso milanese della Società Italiana di Neurologia, è stata premiata e successivamente pubblicata dalla rivista scientifica Annals of Clinical and Translational Neurology.

Abbiamo chiesto al neurologo Dott. Federico Verde, Responsabile del Centro Disturbi Cognitivi e Demenze di Auxologico San Luca, di spiegarci il significato e l’importanza di questa ricerca di cui è primo autore.  

Spiega il Dott. Federico Verde:

Si tratta di uno dei nostri consueti lavori di neurochimica, cioè di dosaggio di biomarcatori proteici sui liquidi biologici, soprattutto liquor e sangue (siero o plasma), in questo caso siero. Ricordo che il più delle volte noi analizziamo molecole specifiche del sistema nervoso centrale (SNC) perché è in quella sede che avvengono i processi patologici che studiamo. Per definizione il liquido biologico dove è più semplice dosare queste sostanze è il liquor, per ovvie ragioni (prossimità anatomica alle strutture in degenerazione). Ma per ottenere il liquor serve una puntura lombare che è invasiva e ha alcune controindicazioni.

Tuttavia queste molecole possono essere dosate anche in periferia, cioè nel sangue, ma per farlo servono tecnologie con alta sensibilità analitica, per esempio quella di cui disponiamo noi (single-molecule array o Simoa; l'analizzatore SR-X è presso il nostro Centro di Ricerche e Tecnologie Biomediche ed è utilizzato dalla Dott.ssa Ilaria Milone, biologa che lavora con la Prof.ssa Antonia Ratti).

Occorre, dicevo, un'alta sensibilità analitica perché queste molecole, che provengono dal SNC, si trovano nel sangue solo in bassa concentrazione. In particolare questa volta abbiamo studiato la GFAP, sigla di proteina gliale fibrillare acida, che è un filamento intermedio (un tipo di proteina strutturale) che si trova negli astrociti.

Gli astrociti sono cellule non-neuronali del SNC, sono molto abbondanti, sono in primis cellule di supporto nei confronti dei neuroni, in effetti hanno varie funzioni (per esempio supporto trofico/energetico verso i neuroni, rimozione prodotti del metabolismo, mantenimento omeostasi del liquido interstiziale, mantenimento integrità barriera emato-encefalica). È noto da studi di laboratorio che gli astrociti sono coinvolti nella patogenesi della SLA.

GFAP è stata però poco studiata in liquor e sangue di pazienti con SLA, è più studiata nell'Alzheimer. Prima del nostro lavoro c'erano unicamente un recente lavoro e pochi altri su GFAP nel sangue dei pazienti con SLA.

Noi abbiamo trovato livelli di GFAP lievemente aumentati nel siero (sangue) dei pazienti con SLA in confronto a controlli neurologicamente sani. Inoltre abbiamo visto che i livelli di GFAP non correlano con caratteristiche motorie della malattia (distribuzione della debolezza nei muscoli del corpo, prevalenza di segni del primo o del secondo motoneurone, rate di progressione della malattia, livello di deficit funzionale, stadio anatomo-clinico o funzionale della malattia), ma sono associati con aspetti diversi della SLA e cioè soprattutto con deficit cognitivi, essendo in particolare più alti nei pazienti aventi deficit di memoria in aggiunta a sindrome neuromuscolare.

Inoltre i livelli sierici di GFAP tendono a essere più alti nei pochi pazienti con SLA che hanno anche disturbi dei movimenti oculari, una evenienza infrequente/atipica nella malattia. Abbiamo studiato anche parametri respiratori e abbiamo osservato che i livelli di GFAP sono più alti nei pazienti con maggiori disturbi ventilatori notturni, espressi da due indici calcolati mediante polisonnografia notturna (indice di desaturazione di ossigeno e indice di apnea/ipopnea).

Infine abbiamo visto che i livelli sierici di GFAP sono negativamente correlati con la velocità di filtrazione glomerulare (funzione renale), probabilmente perché la molecola viene eliminata dal sangue attraverso il rene. Meno il rene funziona bene, più sono alti i livelli ematici della proteina GFAP.

Questo ha senso, ma pone un problema, che vale anche per altri biomarcatori ematici. Essi hanno il vantaggio di richiedere un semplice prelievo di sangue (in confronto a puntura lombare), ma sono, o possono essere, influenzati da funzione renale. Di questo andrà tenuto conto in studi futuri ma anche nell'ambito di una possibile applicazione futura del biomarcatore in ambito di ricerca clinica, per esempio nell'ambito dei protocolli randomizzati controllati per nuovi trattamenti sperimentali.

Questo è probabilmente l'ambito nel quale un marcatore come GFAP potrebbe trovare la sua applicazione più utile: segnalarci il livello di attivazione (o in generale di alterazione) degli astrociti e pertanto segnalarci l'entità del loro coinvolgimento nella fisiopatologia di un dato caso di SLA, segnalarci, - mediante, ipoteticamente, una riduzione del suo livello ematico in un prelievo fatto successivamente nel corso dello studio sperimentale - se un dato trattamento terapeutico ha determinato una riduzione del contributo di queste cellule allo sviluppo e all'evoluzione della malattia, e, se sì, quale entità questo contributo ha avuto.

Al contrario, l'incremento di GFAP nel siero dei pazienti con SLA in confronto ai controlli è troppo lieve per fare di GFAP un potenziale biomarcatore diagnostico. A questo fine esistono marcatori migliori, seppur non ottimali (neurofilamenti). Non avrebbe quindi senso che i pazienti desiderassero di sapere il loro livello ematico di GFAP, perché al momento questa determinazione non avrebbe un'utilità pratica. Lo studio aggiunge comunque un piccolissimo pezzo di nuova conoscenza nell'ambito della fisiopatologia della SLA e dei biomarcatori neurochimici per questa malattia.

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