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La RSA di Auxologico Roma Buon Pastore

Pubblicato il 14/04/2022

“Tutti corriamo, per il lavoro e la realizzazione personale, ma non pensiamo mai a fare un investimento per la nostra vecchiaia. Invece arriva un momento nella vita in cui dobbiamo chiederci come vogliamo invecchiare e cosa dobbiamo fare per invecchiare in salute” spiega in questo articolo la Dott.ssa Anna Giuseppina Corvaglia.

Lavoro per Auxologico Buon Pastore da due anni. L’ho scelto quando avevo 63 anni, nella fase finale della mia carriera, perché avevo iniziato a chiedermi se non era il caso di darmi un’altra chance. Avevo bisogno di misurarmi nuovamente con me stessa e di avere un'altra opportunità per sfidarmi. Mi sono data un’altra occasione e mi è piaciuta. Oggi qui sono felice.

La Dott.ssa Anna Giuseppina Corvaglia, Responsabile della Residenza Sanitaria Assistenziale di Auxologico Roma Buon Pastore - ex Casa di Cura Ancelle Francescane del Buon Pastore e acquisita nel 2020 da Auxologico - lavora con lo sguardo rivolto a domani. A cosa si può fare oggi per migliorare le condizioni dei suoi pazienti il prima possibile. Prima in famiglia a studiare medicina, lucana e laureata all’Università Federico II di Napoli, è a Roma dai tempi della specializzazione in malattie dell’apparato respiratorio e ha imparato a conoscere bene il territorio e i suoi bisogni. Alla fine degli anni ‘90 un “caso fortunato”: la sostituzione di un collega che andava in pensione le permette di occuparsi di anziani per la prima volta. Da allora decide che questo è l’ambito in cui vuole mettere tutto il suo impegno.

Ho deciso di esplorare questo mondo perché è estremamente complesso e perché tocca le fondamenta della famiglia. L’ingresso di una persona anziana in RSA cambia le sue prospettive sulla vecchiaia. Gli anziani si accontentano di una vita che non avevano immaginato e se si presenta anche la demenza si ha a che fare con una malattia che distrugge la persona, la famiglia, le amicizie. Si resta soli. Per questo la cura dell’anziano fragile per me è diventata una battaglia. Le persone che curiamo hanno vissuto, lottato, fatto fortuna. E qualcuno ha anche fallito. Ora a me, come medico, resta dare valore a ciò che questa vita ha rappresentato nel bene o nel male.

Buona parte del lavoro della Dott.ssa Corvaglia consiste anche nell’affiancare i familiari che decidono di istituzionalizzare (affidare a una struttura assistenziale) un parente. Spiega loro che non si tratta di un fallimento e che la separazione è necessaria per permettere ai propri cari di continuare a vivere con dignità. Restituire proprio la dignità al momento del “fine vita” è necessario per evitare che la RSA diventi un posto dove depositare il familiare. Chiarisce che lei e i suoi collaboratori proteggono gli anziani e che i familiari non devono sentirsi cattivi. Spesso l’età dei caregiver, le persone che assistono, è quasi pari a quella di chi viene ricoverato, perciò una persona di 70 anni si fa carico di un genitore di 90 quando magari tutti e due soffrono di ipertensione, diabete, o hanno una disabilità. Per più di 20 anni la Dott.ssa Corvaglia si è occupata di assistenza domiciliare alle persone con demenza. “Faticosissimo”, racconta, “ma ti insegna a fare a meno di molte cose superflue”.

Le demenze spaventano perché si guarda ai disturbi del comportamento. L’atteggiamento disinibito della malattia mette in imbarazzo, e allora nasce la vergogna e la solitudine. Ma la persona che soffre di demenza reagisce per paura, non perché aggressiva. Se si invade il suo spazio vitale senza avvertirla, non capendo aggredisce. È come se le persone con demenza fossero al buio: non ti riconoscono e non si riconoscono. Qualsiasi avvicinamento sembra un’aggressione, si spaventano e reagiscono.

In questo lungo periodo ha imparato a conoscere le famiglie e il loro approccio alla vita.

“Tutti corriamo, per il lavoro e la realizzazione personale, ma non pensiamo mai a fare un investimento per la nostra vecchiaia. Invece arriva un momento nella vita in cui dobbiamo chiederci come vogliamo invecchiare e cosa dobbiamo fare per invecchiare in salute”.


Le chiediamo cosa vorrebbe realizzare prima di concludere la sua carriera e risponde subito che ha in mente un mondo esterno che entra in RSA.

Sono molto soddisfatta quando riesco a trasferire qui le competenze che di solito si trovano in ospedale, come il foniatra, il dentista, il cardiologo, perché non ci limitiamo a curare gli eventi “acuti”, le manifestazioni
gravi di una malattia, ma prendiamo in carico la persona nel suo insieme e così possiamo offrire un servizio più completo. Le RSA dovrebbero diventare più autonome, accedere a canali preferenziali quando cercano soluzioni in strutture esterne. Dobbiamo crescere una nuova generazione di medici sensibili al patrimonio che gli anziani rappresentano. Se pensiamo a quante famiglie si appoggiano anche economicamente ai parenti, non possiamo pensare agli anziani solo come soggetti che danno e quindi esistono. Sono il nostro patrimonio umano.