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Il privato no profit: l'intervento di Mario Colombo a SIMFER

Pubblicato il 29/10/2021

RIABILITAZIONE E RICERCA, GLI IRCCS FRA SCIENZA E ASSISTENZA

Occorre rivedere la semplificazione tra pubblico e privato in sanità. Esiste infatti anche il privato no-profit

Il Dott. Mario Colombo, Direttore Generale di Istituto Auxologico Italiano, ha partecipato al congresso SIMFER che si è tenuto a Milano il 29 settembre 2021 con un intervento dal titolo: "Riabilitazione e ricerca. Gli IRCSS fra scienza e assistenza" che riportiamo integralmente.


Negli ormai molti anni che faccio questo mestiere, questo nobile lavoro, sono state tante le occasioni nelle quali mi sono fermato a riflettere sul significato e sulla portata di essere una realtà no profit, nella fattispecie una Fondazione, con dei valori di riferimento chiari e dichiarati che nel nostro caso rimandano alla “sacralità della vita” e all’impegno dichiarato dalla Dottrina sociale della Chiesa.

L'ho fatto davanti a problemi fiscali, le tasse che anche gli enti no profit pagano, ma che vorrebbero fossero regolate in maniera differente; l’IVA, che per gli operatori della sanità e in special modo per quelli no profit è un costo finale, non recuperabile; davanti alle varie leggi di riforma degli IRCCS o di uno dei Sistemi Sanitari Regionali dove Auxologico opera; ma anche di fronte a problematiche meno venali che mi ponevano davanti a scelte etiche: l’essere no profit rilevava?

Non mi sarei aspettato di affrontare questo tema in un Congresso, nazionale, di una disciplina così importante come la Medicina fisica e della riabilitazione, il cui target sono essenzialmente medici.

Già questo tavolo dà un bell’esempio della complessità del tema. Premetto che faccio parte di quelle persone alle quali piacciono poco le etichette qualificative e non ragiona per stereotipi: quindi ritengo riduttiva la classificazione di IRCCS riabilitativo, nel senso che oggi si dovrebbe parlarei di una modalità riabilitativa nel fare medicina, che vale per tutti, per coloro che hanno davanti un paziente a seguito di un grave traumatismo, ma anche per coloro che sono chiamati a intervenire in acuto su un ictus, fino alla ricerca genetica per comprendere meglio i fattori determinanti delle malattie.

Con questa premessa, rilevo innanzi tutto che qui non è rappresentata alcuna Istituzione alla quale mettere l'etichetta "istituzione pubblica". 
Rilevo poi che tra le grandi Istituzioni qui rappresentate del privato si possono individuare due principali categorie, il privato profit (commerciale) e quello no profit che, su questo tavolo, riflette la situazione italiana di una rappresentanza quasi esclusiva di enti che si rifanno alla missione di pensiero e di impegno della Chiesa, ma ben esistono realtà “laiche” che operano in modo no profit.

Come voi medici sapete bene, almeno quelli che hanno studiato la Storia della Medicina, il sistema organizzato di cura delle persone, volgarmente detto sanità, nasce no profit, per iniziativa di religiosi che nel tempo hanno intercettato il bisogno di salute, elevandolo da un problema privato (che solo i ricchi potevano risolvere) a un'esigenza collettiva alla quale le Istituzioni dovevano dare una risposta a prescindere dalle capacità economiche delle persone.

Ho voluto fare questa osservazione perché spesso e volentieri il dibattito sul tema è polarizzato sulla contrapposizione pubblico e privato attribuendo al primo, il pubblico, le prerogative di interpretare e applicare il dettato costituzionale del diritto alla salute come universale relegando, stresso evidentemente la posizione, il privato a un ruolo meramente subordinato, di chi si vuole insinuare in questo settore, per rubare qualche cosa al pubblico, per approfittarsene, non dando le stesse garanzie e sicurezze di lavorare per un unico interesse collettivo, ma di perseguire interessi privati, di profitto, imprenditoriali.

Come ho detto prima c'è però un paradosso: la sanità, gli ospedali, nascono privati, ma privati no profit. Capite bene la mia posizione, che è quella di collocare la sanità privata no profit in un luogo molto vicino a quello dove risiede la sanità gestita dagli ospedali pubblici: perché questa trova la sua origine nelle prime forme di assistenza ospedaliera no profit.

Negli anni la sensibilità sui temi pubblico, privato e privato no profit è stata differente, e anche il legislatore ha regolato in modo diverso i relativi contributi nelle varie materie: fiscali, economiche e sanitarie.

Di pari passo, anche il principio di sussidiarietà è stato interpretato e applicato in modo differente in contesti storici mutati, magari con argomentazioni contingenti, piuttosto che su basi e argomentazioni razionali. Si passa con estrema facilità da affermazioni dove lo Stato non intervenga laddove la libera iniziativa privata può soddisfare un bisogno a posizioni opposte: il privato è residuale, relegato a quelle attività che il pubblico non può o non vuole sostenere.

Nella recente emergenza Covid si è riproposta la sterile e infondata contrapposizione pubblico privato: sono stati tagliati posti letto, in particolare quelli pubblici a vantaggio dei privati; i privati non hanno dato un contributo al pari dei pubblici nella gestione dell'emergenza e così dicendo. Premesso che ciò non è vero, e anche su questo tavolo ci sono strutture che sono state in prima linea sia nella fase acuta, sia nella campagna di vaccinazione contro il COVID, la sterile contrapposizione è alimentata da una non chiarezza di fondo.

Crediamo nel principio della libera scelta del luogo di cura? Si, certamente, non ho mai sentito nessuno opporsi a questa opzione: allora la naturale conseguenza sarà che la scelta libera tra tutti i soggetti, pubblici, privati, privati no profit, è in relazione a quello che sono in grado di erogare, e non in base all'"etichetta” che li contraddistingue.

C’è il dubbio che il privato non condivida gli obiettivi di salute “pubblici”? Che si tiri indietro nel momento del bisogno, delle emergenze? Che scelga degli ambiti di intervento meno impegnativi? Che faccia selezione della casistica per finalità economiche? Ebbene: se c’è il sospetto, il minimo dubbio, si mettano ulteriori e più stringenti regole che tolgano il sospetto e il dubbio. Chi rispetta le regole è parte del sistema con pari dignità, altrimenti si è al di fuori dello stesso, ma per questioni “vere”, di merito, non per un'equivoca e sterile etichetta “pubblico, privato, privato no profit”.

Anche dopo queste argomentazioni, mi pongo comunque la domanda retorica: è importante, e perché, avere nella sanità italiana, nella ricerca e nell'università la presenza di un'offerta non profit?

La sanità privata no profit è l’anello di congiunzione tra il nostro passato e il nostro futuro, ci ricorda che la sanità, l’organizzazione sanitaria per affrontare dei problemi di salute, nasce sempre da un gesto di carità.

La sanità privata no profit deve essere testimonianza non solo di eccellenza nella cura e nella ricerca - ciò deve essere il minimum di ogni struttura sanitaria – non solo nella presa in carico e nella relazione con il paziente – un dovere che si richiama ai basilari principi della nostra umanità, ma anche nella gestione e organizzazione. La sanità privata no profit deve amplificare la condizione per la quale ogni eventuale utile gestionale derivante dall'attività sanitaria, dal lavoro per curare una persona, non può essere indirizzato altrove se non per migliorare le cure e la ricerca in medicina.

Di questi tempi, la testimonianza di una sanità privata no profit può fare del bene.