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Lavorare durante le feste: la voce di Enrico

Pubblicato il 17/12/2021 - Aggiornato il 19/12/2023

Lavorare in un gruppo ospedaliero significa essere presenti anche quando il resto delle persone festeggia. Leggi la voce di chi in Auxologico non va in vacanza.

Penso che si debba parlare in modo sincero ai bambini. Io e mia moglie abbiamo spiegato loro che durante le feste papà deve andare a far da mangiare per le persone malate e hanno capito. Mi dicono “bravo papà, anche loro hanno bisogno di te”.

Enrico guida la ristorazione di Auxologico in Lombardia da 13 anni. Tre cucine dislocate tra le sedi di San Luca, Capitanio e Mosè Bianchi, con una squadra di più di 25 persone, tra cuochi, collaboratori e giovani stagisti che si alternano ai fornelli per imparare il mestiere. La sua è una storia professionale che inizia prestissimo, a 15 anni. 
“Quando ero giovane non esisteva molta cultura sulla didattica per bambini con disgrafia e passavo per uno di quelli che non si voleva impegnare. Mio padre mi ripeteva che il mestiere del cuoco era impegnativo, che sarei finito a lavorare mentre gli altri facevano festa, a lavorare di sera. Che non avrei fatto una bella vita. Ma a me piaceva e piace ancora adesso”.

Finita la scuola Enrico inizia a girare il mondo, dal conoscere due lingue, italiano e francese, arriva a parlare anche il tedesco, lo spagnolo e l’inglese. Nei due anni che passerà a Cuba come chef sarà a capo di 28 cuochi per 1.200 pasti al giorno.

Mia moglie Yorleidis lavora nel mio stesso ambito, è cameriera in un hotel di lusso. Di solito cuochi e camerieri sono come cane e gatto ma noi ci siamo trovati. Durante le feste per lei si pone lo stesso problema organizzativo perché non può lasciare la sala. Non esistono i sabati e le domeniche, le festività, le ferie in agosto. Gestiamo un anno alla volta e cerchiamo di fare in modo che almeno uno di noi sia a casa per Natale e l’altro a Capodanno. L’anno dopo invertiamo.

La famiglia di Enrico ormai si è abituata, i nonni si chiamano per gli auguri mentre si servono lenticchie e cotechino, i regali si aprono alle 5 del mattino prima di andare a fare le colazioni in albergo e di iniziare il servizio nelle cucine di Auxologico. Si festeggia quando si può.

Dai ristoranti di lusso alla realtà ospedaliera, le sfide cambiano. “Non avevo mai comprato delle pantofole prima, mi manca l’atmosfera movimentata, la vita notturna. Ma se serve a passare anche un po’ di tempo in più con i miei figli e continuare a fare il mio lavoro in un altro contesto, così sia”.

Oggi Enrico e la sua creatività in cucina vengono messi alla prova dalle patologie delle persone ricoverate. Ha imparato che cos’è la disfagia, cioè la difficoltà di passaggio dei cibi e dei liquidi dalla bocca allo stomaco. Oppure la dieta TAO per i pazienti in terapia anticoagulante orale, per i quali alcuni cibi sono vietati. L’attenzione per chi soffre di disturbi dell’alimentazione. Le diete con un quantitativo preciso di calorie, le diete solide-omogenee oppure morbide-trite. Serve ampliare i propri orizzonti e lavorare con grande precisione. 

Le giornate iniziano presto nelle cucine di Auxologico, si parte alle 7 del mattino e si finisce oltre le 19.30, più di 12 ore dopo.

Tutti i giorni c’è da sistemare il materiale che arriva, dobbiamo dividere i vassoi personalizzati e i carrelli che vanno nei diversi piani e reparti. Negli anni sotto la mia guida siamo riusciti ad avere diverse lettere di encomio da parte dei malati, da tutti i reparti. Noi abbiamo la consapevolezza di dare un piccolo momento di gioia in una giornata che deve essere sicuramente difficile per queste persone. È gratificante perché la fatica è tanta, il rigore anche. Abbiamo la supervisione dell’igiene, il controllo delle temperature, la tracciabilità degli ingredienti e dei pasti. Oltre a fare il piatto buono, una grande parte del nostro impegno è dedicato a fare il piatto sano.

Un giorno i suoi figli potrebbero fare il lavoro di papà? “Non credo, Stefano ha 17 anni, fa lo scientifico e ama la matematica e l’informatica. Marco ha 10 anni e per lui è ancora presto per scegliere. I giovani fanno fatica a capire che lavorare in cucina è un mestiere serio e faticoso. Influenzati dai molti programmi televisivi pensano che sia facile ma prima di pensare all’impiattamento va pulita una cassetta di cavolfiori e pelati 10 kg di patate”.

Serve sacrificio, come quello di non poter stare sempre con la propria famiglia.

Ci organizziamo per avere momenti fatti apposta per noi che così diventano speciali. Per esempio quando li porto a scoprire cucine diverse, perché voglio che imparino a mangiare di tutto. Un posto dove andiamo volentieri è Izu, in Porta Romana, per la cucina giapponese.