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La depressione in epoca Covid-19

Pubblicato il 26/05/2020 - Aggiornato il 22/05/2023

Dott.ssa Giada Pietrabissa

Staff Servizio Psicologia Clinica e Psicoterapia

LE CONSEGUENZE PSICOLOGICHE DA COVID-19

Le conseguenze per la salute mentale del COVID-19 sono già visibili e, senza essere nemmeno troppo pessimisti, raggiungeranno solo tra un po' il loro picco massimo, per durare più a lungo dell’attuale pandemia.

Tra i disturbi psicologici maggiormente lamentati ci sono ansia e panico, sintomatologia ossessivo-compulsiva, insonnia, problemi digestivi, oltre a sintomi depressivi e da stress post traumatico. Questi non sono solo la diretta conseguenza della pandemia, ma principalmente effetto dell’isolamento sociale prolungato.

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GLI EFFETTI DELL'ISOLAMENTO PROLUNGATO

La rivista di medicina The Lancet ha recentemente pubblicato un articolo da cui emerge un quadro chiaro e allarmante: periodi di isolamento, anche inferiori ai 10 giorni, possono avere effetti a lungo termine, con presenza - fino a tre anni dopo - di sintomi psichiatrici.

Seppur necessaria per limitare la diffusione dell’epidemia, infatti, non siamo “progettati” per gestire a lungo la segregazione. Come ci ricorda il filosofo greco Aristotele, l’uomo è un “animale sociale”, assolutamente incapace di vivere isolato dagli altri, in quanto l’assenza di relazioni non permette lo sviluppo dell’identità personale e l’esercizio della ragione.

Ci si arrabbia severamente per (e con) la gente che si riversa nelle strade, ma serve un po' di comprensione, da parte di tutti: la natura stessa dell’essere umano è fortemente in antitesi con la situazione che stiamo vivendo.

Allo stesso modo, le ricerche mo­strano che il nutrirsi e il muoversi, oltre a rappresentare un importante presidio terapeutico, siano un fondamentale veicolo per comunicare con noi stessi, gli altri e il mondo, e abbiano un'enorme influenza sul nostro equilibrio biopsicologico.

L’isolamento prolungato può influire negativamente sulla salute delle persone, andando ad alterarne i ritmi del sonno e dell’alimentazione, nonché riducendone le possibilità di movimento. Così facendo, vengono a deprimersi i naturali canali di espressione e piacere dell’uomo, con conseguente deflessione dello stato d’animo.

IL DETERIORAMENTO DELLE RELAZIONI

Inoltre, nel rispetto delle regole, abbiamo cominciato a comportarci “come se” chiunque potesse essere un potenziale pericolo per la nostra salute e per la salute dei nostri cari e, così facendo, ci siamo costruiti una nuova ed allarmante credenza.

A oggi, sempre di più, le persone rifuggono le relazioni sociali, non più per imposizione, ma per scelta. Una decisione, inizialmente mossa dal timore di un nemico invisibile e dalla ormai totale incertezza su cosa sia giusto fare/non fare, dire/non dire, pensare/non pensare derivante dalle informazioni ambigue e contrastanti che riceviamo.

L'incertezza determina inoltre comportamenti che vanno progressivamente a sostituire la nostra vecchia visione del mondo e dei rapporti interpersonali.

Mentre i livelli di stress ambientale continuano a crescere, si assiste, infatti, al deterioramento delle relazioni; e più che unire tutti sotto il grande arcobaleno dell’#andràtuttobene, a oggi, le misure restrittive stanno creando rivalità e fomentando discordie tra le persone.

“Divide et impera” (letteralmente dividi e comanda) dicevano i latini, che già avevano sapientemente compreso come un'autorità, per controllare e governare un popolo, tenda a frammentarlo. Rabbia e nervosismi, inespressi e duraturi, si ritorcono contro noi stessi con risvolti depressivi o problemi psicosomatici.

Allo stesso modo, trascorrere insolite quantità di tempo insieme in spazi ristretti e spesso inadatti allo scopo accresce il rischio di conflitti e violenza domestica. La Cina ha registrato un importante aumento di separazioni e divorzi, eventi particolarmente stressanti, che possono portare, specialmente tra i più sensibile, a sviluppare problemi mentali, in primis depressione.

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L’isolamento sociale prolungato genera, di contro, profonda solitudine in coloro che vivono soli o non possono contare su una rete sociale adeguata, aumentando così la probabilità che emergano sintomi depressivi.

A ciò si aggiunge l’impatto devastante e comprensibile delle preoccupazioni legate ai problemi economici e alla perdita di un proprio caro.

IL LUTTO E LA PERDITA DI CONTROLLO SULLA PROPRIA VITA

In tempi di Coronavirus siamo costretti a rapportarci con la morte secondo modalità estranee alla civiltà umana: dal pensiero di non aver potuto stare accanto al defunto nei suoi ultimi momenti di vita, ai sensi di colpa, all’idea di aver inavvertitamente contagiato la persona, al cruccio di non averla potuta salutare in maniera consona con una cerimonia funebre, fondamentale al processo di elaborazione del lutto – sono tutti fattori che amplificano il dolore della morte, accrescono i tassi di depressione, il consumo di alcol, droghe e i comportamenti rischiosi tra i quali il suicidio.

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Diversamente dai comuni e ineliminabili momenti di crisi che caratterizzano l’esistenza di ognuno di noi - i quali, seppur destabilizzanti, rappresentano un’occasione unica e fondamentale di rivisitazione delle personali strategie di gestione dei problemi - in questo periodo le persone sperimentano impotenza, vulnerabilità e sensazione di perdita di controllo sulla propria vita come risposta a qualcosa di indeterminato, nel tempo e nello spazio.

Ciò genera angoscia per un futuro incerto e, ancora una volta, favorisce la comparsa di sintomi depressivi - soprattutto in soggetti fragili, in coloro che già soffrivano di problemi psichici e negli operatori sanitari.  

Coloro che sono stati messi in quarantena, e le persone impegnate in prima linea per fronteggiare l’epidemia, sono, inoltre, a rischio di stigmatizzazione in quanto possibili “untori” e vengono guardati con paura e sospetto.

Sicuramente qualcuno si mostrerà più resiliente rispetto ad altri, e potrà contare sulla presenza di maggiori risorse personali, sociali, ed economiche ma tutti – in misura variabile – accuseremo l’impatto di questa rivoluzione sul nostro modo di vivere e relazionarci, sulla nostra salute fisica e psicologica.

LA DEPRESSIONE DA COVID-19

I soli fattori di stress ambientale che caratterizzano questo particolare momento storico suggeriscono chiaramente il rischio di una nuova epidemia, e questa volta a soffrirne potrebbe essere la nostra salute mentale; ma il sistema sanitario nazionale, ancora una volta, potrebbe non essere pronto ad arginare gli effetti dell’epidemia.

Esaurimento psicofisico, ansia, paura e dolore, angoscia, trauma, rabbia, queste emozioni si alternano, si mescolano, e crescono in intensità fino a travolgere la persona e sfociare in disturbi psicologici clinicamente significativi, come la “depressione reattiva”.

Mentre la crisi COVID-19 aumenta il rischio di depressione, la depressione inficia la capacità individuale di risolvere i problemi, stabilire e raggiungere obiettivi, e funzionare in modo efficace, al lavoro e nelle relazioni, rendendo ulteriormente difficoltoso il recupero dalla crisi.

Infatti, seppur si manifesti in modi diversi, alla base della depressione vi è sempre un atteggiamento rinunciato.

Nelle persone viene progressivamente meno qualsiasi forma di reazione attiva di fronte alle difficoltà della vita: si tende sempre di più a lamentarsi, sfogarsi e affidarsi completamente agli altri nella gestione di sé stessi, tutte azioni di delega, quindi di rinuncia. E - come scrisse Emile Cioran – la rinuncia altro non è che “un piccolo suicidio quotidiano”.

Sentirsi sicuri e protetti è una delle esigenze primarie fondamentali nell’essere umano per potersi muovere liberamente nel mondo circostante, così come la sensazione di avere il controllo sugli eventi della propria vita.

Quando tutto ciò viene a mancare, quando incomincia a svilupparsi la credenza che qualunque cosa facciamo non migliorerà le cose, ecco che prende piede un senso di “impotenza appresa”, che blocca ogni possibilità di liberazione o cambiamento.

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SI PUÒ PREVENIRE LA DEPRESSIONE DA COVID-19?

L'angoscia che proviamo è una normale risposta umana a una grave crisi. Riconoscere e accettare questi sentimenti impedisce che si trasformino in disordine.

Rinunciare, delegare, lamentarsi sono tutti atteggiamenti che, se all’inizio di una crisi possono esserci d’aiuto, perpetuandosi, finiscono per complicare la nostra situazione, facendoci scivolare lentamente verso la depressione.

Riconoscerli da subito nel proprio comportamento è il modo migliore per muoversi in direzione contraria e spezzare il circolo vizioso che porta alla rinuncia globale e che caratterizza le forme depressive più severe.

Questa pandemia porterà inevitabilmente a ridefinire i nostri stili relazionali, che non saranno più basati sulla vicinanza ma sulla distanza. Il contatto fisico verrà sostituito da una condivisione negoziata, mentre la digitalizzazione delle vite, già avviata con l'avvento dei social media, della tecnologia e della realtà virtuale, verrà ulteriormente enfatizzata, grazie alla legittimazione medico-scientifica.

Abbandonare l’idea che “tutto tornerà come prima” e affrontare i cambiamenti in atto con flessibilità previene l’insorgenza di psicopatologia.

L'essere umano è estremamente duttile, si adatta al cambiamento, che diventa la nuova normalità. Con le parole di Lao Tzu: “Ciò che al mondo è più flessibile vince ciò che al mondo è più duro”. Bisogna darsi tempo.

Opzioni di trattamento specifiche sono disponibili per le situazioni più problematiche, nonché maggiormente fruibili rispetto a prima dell’avvento del Coronavirus, in quanto i professionisti della salute mentale stanno offrendo possibilità di supporto e consulenza online.

L'INTERVENTO DELLE ISTITUZIONI

Prima di tutto, però, c’è bisogno di cambiamenti a livello superiore: le misure di aiuto economico del governo sono risposte cruciali sia alla recessione economica sia alla depressione psicologica.

Le Istituzioni dovrebbero garantire che questa esperienza risulti il più tollerabile possibile per le persone.

Messaggi allarmistici, quali l’enfasi sugli aspetti negativi della pandemia (numero di malati gravi o decessi) più che su quelli positivi (numero dei guariti), l’abuso di espressioni allarmistiche («morte anche tra i giovani!»), racconti ricchi di dettagli personali sulle vittime, sono controproducenti quanto gli eccessivi richiami alla positività e all’ottimismo, i quali, di contro, producono un effetto paradossale: non riuscendo ad essere positivi a comando, le persone possono angosciarsi e deprimersi ancora di più, oppure sviluppare incomprensione e diffidenza («non ce la raccontano giusta»).

Anche messaggi vaghi o ambigui («se stiamo uniti andrà tutto bene», «occorre essere più responsabili») rischiano di non avere l’effetto desiderato.

In un clima di incertezza e paura è fondamentale che vengano fornite informazioni chiare e precise sul problema e sulla gestione dell’emergenza. Maggiori investimenti culturali ed economici dovranno quindi concretizzarsi in migliori e più tempestivi percorsi di prevenzione, cura e riabilitazione nell’ambito della salute mentale, perché “non c’è salute senza salute mentale”.

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IL SERVIZIO DI PSICOLOGIA CLINICA DI AUXOLOGICO

Il Servizio di Psicologia Clinica nasce dalla collaborazione di Auxologico con la Facoltà e il Dipartimento di Psicologia dell'Università Cattolica di Milano, ed è sede di insegnamento del Master in Psicologia Clinica Sanitaria della stessa università. 

Offre un largo spettro di prestazioni in regime di solvenza.

INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI

Articolo del 26/05/2020, revisionato il 15/06/2020.